Dott. Magnani Massimo

Medico chirurgo specialista in otorinolaringoiatria e foniatria a Cesena

Il dott. Massimo Magnani è un rinomato e apprezzato Otorinolaringoiatra a Cesena. Ha conseguito la specializzazione medica in Otorinolaringoiatria nel 1988 e in Foniatria nel 1990.
Dal 1992 lavora presso l'Ospedale Bufalini di Cesena, dove dal 2007 ricopre la carica di Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria.
Per risolvere problemi legati alle malattie di orecchio, naso, gola e collo, contattate lo studio del dott. Massimo Magnani per fissare un appuntamento.

L'Otorinolaringoiatria

L'otorinolaringoiatria è quella branca della medicina che si occupa della prevenzione, della diagnosi e della terapia delle patologie che riguardano orecchio, naso, gola e collo. L'otorinolaringoiatra cerca infatti di risolvere quelle problematiche che possono interessare la tiroide, le ghiandole salivari, problemi del collo, le malattie del naso e dei seni paranasali oppure le alterazioni della voce e della deglutizione nonché dell'udito e dell’equilibrio. Le visite di otorinolaringoiatria eseguite dal dott. Magnani, medico chirurgo specialista in otorinolaringoiatria e foniatria, hanno lo scopo di indagare le cause dei disturbi riscontrati dal paziente nel distretto collo-testa e di definire un percorso diagnostico e terapeutico adeguato per risolvere il problema.

Visite specialistiche e esami diagnostici

Durante la visita specialistica il dott. Magnani, medico chirurgo specialista in otorinolaringoiatria e foniatria, esegue i seguenti esami diagnostici:

 

  • Endoscopia dei seni paranasali;
  • Endoscopia della faringe e della laringe;
  • Valutazione bed side del sistema vestibolare;
  • Esame audiometrico tonale;
  • Esame impedenzometrico;
  • Esame citologico nasale.

 

Inoltre potete rivolgervi al dott. Magnani per curare o alleviare molte patologie del distretto testa-collo, tra cui:

  • Malattie della tiroide e della gola;
  • Malattie della laringe e della faringe;
  • Riniti e rinosinusiti;
  • Poliposi nasale;
  • Deviazione del setto nasale;
  • Ipertrofia dei turbinati;
  • Russamento ed apnee notturne;
  • Vertigini.

Il dottor Massimo Magnani riceve previo appuntamento telefonico:

  • il LUNEDI' presso l'Ospedale Santa Colomba di Savignano sul Rubicone.
  • Il MARTEDI' e il MERCOLEDI' presso l'Ospedale Bufalini di Cesena.

CHIRURGIA DEI SENI PARANASALI

 

I seni paranasali sono cavità poste attorno alle fosse nasali e con le quali sono in comunicazione attraverso piccole aperture (osti). I seni paranasali sono 4: frontale, mascellare sfenoidale ed etmoidale. Quest’ultimo è in realtà costituito da più cavità (cellule) e si riconosce un etmoide anteriore ed uno posteriore.

  • Il SENO MASCELLARE contrae stretti rapporti con l’orbita e con il dotto naso-lacrimale attraverso il quale le lacrime passano dall’occhio nel naso.
  • Il SENO FRONTALE è posto al davanti e lateralmente alla fossa cranica anteriore.
  • Lo SFENOIDE ha stretti rapporti con la carotide interna e con il nervo ottico.
  • L’ETMOIDE è posto medialmente all’orbita e sotto e lateralmente alla base cranica.

A causa dei fenomeni infiammatori che alterano le normali vie di deflusso delle secrezioni nelle sinusiti croniche, i seni sono incapaci di drenare adeguatamente; ciò determina un intrappolamento all’interno dei seni delle secrezioni che diventano infette.

La chirurgia dei seni paranasali ha lo scopo di aprire le vie naturali di drenaggio dei seni paranasali così da ripristinare la loro funzione.

Attualmente la tecnica chirurgica più affidabile è quella che si avvale dell’uso di endoscopi, da cui il nome di CHIRURGIA ENDOSCOPICA DEI SENI PARANASALI.

 

  • PRIMA DELL’INTERVENTO

In preparazione all’intervento è necessario un trattamento medico che “ottimizzi” le condizioni dei seni paranasali. Generalmente si utilizzano antibiotici e steroidi, sia direttamente nel naso che per via generale.

Inoltre, è indispensabile evitare aspirina e farmaci simili (Ibuprofene, Naprossene, altri FANS, Gingko Biloba e Ginseng). Questi farmaci possono determinare un eccessivo sanguinamento intra- e post-operatorio.

Anche il fumo di sigaretta andrebbe quantomeno ridotto nelle 3 settimane precedenti l’intervento a causa delle interferenze con il processo di cicatrizzazione.

 

  • INTERVENTO

L’intervento può essere condotto rimuovendo la patologia tentando di ripristinare la normale aerazione dei seni allargando gli osti dei seni ed eliminando eventuali restringimenti (deviazioni del setto nasale, ipertrofia o anomalie morfologiche dei turbinati, ecc.) ma rispettando il più possibile l’anatomia (F.E.S.S.: chirurgia endoscopica funzionale dei seni). In alcuni casi ciò non può avvenire a causa della estesa alterazione delle mucose e può essere necessario procedere ad un intervento più radicale (E.S.S.:chirurgia endoscopica dei seni).

L’estensione del trattamento andrà valutata in base alla visita ed all’indagine TAC eseguita prima dell’intervento che permette di identificare i seni interessati e le alterazioni anatomiche che possono influire sulla normale ventilazione dei seni stessi.

 

  • RISCHI DELL’INTERVENTO

 

> SANGUINAMENTO: nella maggior parte dei casi il sanguinamento è ridotto (anche grazie alla preparazione preoperatoria); raramente però l’entità è tale da rendere necessaria la sospensione dell’intervento chirurgico.

Normalmente si procede ad un tamponamento che potrà essere mantenuto per un tempo variabile, da 1 a 6-7 giorni.

 

> RECIDIVA DELLA MALATTIA: sebbene la chirurgia endoscopica permetta grandi benefici per la maggioranza dei pazienti essa non è sempre in grado di risolvere le sinusiti; è perciò necessario proseguire con le terapie mediche, anche se in grado minore. Occasionalmente può essere necessario ricorrere ad un trattamento di “ritocco” asportando i piccoli polipi che tendono a riscrescere (generalmente in anestesia locale).

 

> FISTOLA LIQUORALE: a causa della vicinanza dei seni paranasali con il cervello c’è il rischio (raro) di danneggiare l’osso che li divide realizzando una breccia dalla quale può fuoriuscire liquido cefalo-rachidiano. Se ci si accorge della lesione si procede alla sua chiusura direttamente durante l’intervento. A causa del sanguinamento però può non essere visibile la lesione: un forte mal di testa e/o la sensazione di liquido che cola in gola possono allora essere un segno di una fistola liquorale: in tal caso indagini neuroradiologiche ed endoscopiche possono individuare la lesione che va chiusa chirurgicamente.

 

> PROBLEMI VISIVI: raramente sono stati riferiti cali della vista o diplopia (visione doppia). Ciò può derivare dalla vicinanza del nervo ottico ai seni paranasali, soprattutto quelli posteriori.

Il rischio maggiore deriva da emorragie a carico dell’arteria etmoidale anteriore che, se danneggiata, può retrarsi all’interno dell’orbita e determinare un ematoma retrobulbare che va evacuato il più rapidamente possibile, eventualmente anche per via esterna.

 

> ALTRI RISCHI: alterazioni del gusto e dell’odorato, persistenza o addirittura peggioramento dei sintomi della sinusite.

 


CHIRURGIA DELLA PAROTIDE

 

La ghiandola parotide è la più grande tra le ghiandole che producono saliva.

Ha una forma di piramide a base triangolare con base laterale ed apice mediale ed è posta davanti e sotto al condotto uditivo. Al davanti di essa ci sono la branca montante della mandibola ed il muscolo massetere (che si palpa bene quando si stringono forte i denti). La sua porzione profonda si spinge fino ad arrivare alla tonsilla.

Dal punto di vista chirurgico l’importanza maggiore è rivestita dal nervo facciale, nervo motore che provvede alla innervazione dei muscoli del volto, che, fuoriuscendo dal cranio dopo essere passato nell’orecchio medio, dopo un breve tragitto di 1-2 cm si divide proprio all’interno della ghiandola nei suoi rami terminali che sono posti tutti su un unico piano (paragonabile perciò ad una albero da frutto a “schiera”)

Il nervo facciale divide pertanto la parotide in due porzioni (dette impropriamente lobi): una posta al di sopra del nervo, detta lobo superficiale, ed una posta al di sotto, detta lobo profondo, di dimensioni molto minori rispetto alla precedente.

La saliva prodotta dalla parotide fuoriesce in bocca attraverso il dotto di Stenone, che sbuca dalla guancia in corrispondenza del 2° molare superiore.

 

  • PROCEDURA CHIRURGICA


L’intervento viene effettuato generalmente in anestesia generale. L’incisione classica, definita “a baionetta”, inizia al davanti dell’orecchio, gira al di sotto del lobulo e si porta in basso verso il collo.

Dopo avere scollato la ghiandola dal condotto uditivo e dai muscoli sternocleidomastoideo e digastrico, si giunge ad identificare il tronco principale del nervo facciale. Si procede pertanto alla dissezione liberando il nervo dal tessuto parotideo avendo l’accortezza di non danneggiarlo.

Nella maggior parte dei casi le neoformazioni sono poste nel lobo superficiale ed in questo caso non c’è necessità di rimuovere il lobo profondo. Se invece sono poste in quest’ultimo, l’intervento deve rimuovere tutto il tessuto parotideo e pertanto vi è un maggior rischio di danno del nervo facciale.


  • POSSIBILI COMPLICAZIONI


1.    Paralisi del nervo facciale

Pur essendo la complicazione più frequente, si tratta in realtà di paralisi che nella maggior parte dei casi sono temporanee (paresi), dovute allo stiramento dei rami nervosi per poter rimuovere il tessuto parotideo. Spesso infatti la neoformazione che deve essere rimossa schiaccia il nervo a tal punto che il suo distacco dalla massa ne determina una irritazione e quindi una mancata funzione che può protrarsi anche per qualche mese. Quasi sempre i nervi si riescono a staccare ma a volte la lesione infiltra il nervo, rendendo necessaria la sua sezione con conseguente paralisi definitiva del muscolo innervato.

2.    Sindrome di Frey (o del nervo auricolotemporale)

Si tratta di una complicazione rara che si manifesta con sudorazione e/o arrossamento della cute posta al di sopra della parotide ogni volta che il paziente mangia. Ciò è causata dal fatto che le fibre nervose responsabili della salivazione (provenienti dal nervo auricolotemporale), una volta asportati gli acini della parotide, invece di degenerare e quindi “morire” vanno a prendere contatto con le ghiandole sudoripare della cute. Succede così che durante i pasti, il nervo entra in funzione ma invece di provocare la salivazione stimola le ghiandole sudoripare. Questa sindrome può regredire spontaneamente ma in caso contrario si possono utilizzare pomate specifiche o ricorrere all’iniezione di tossina botulinica.

3.    Difetto facciale

Nei casi di asportazione di una grossa massa può essere visibile una cavità più o meno ampia, che può non essere esteticamente piacevole.

4.    Insensibilità del lobo dell’orecchio

E' legata alla sezione di un nervo sensitivo (il nervo grande auricolare) che per gli stretti rapporti che contrae con la parotide si è costretti a sezionare. In alcuni casi è possibile conservare un ramo posteriore riuscendo così a conservare la sensibilità dell’orecchio.

5.    Fistola salivare

A volte prima che avvenga una cicatrizzazione definitiva, si ha una produzione continua di saliva che può fuoriuscire dalla ferita chirurgica e che si può protrarre anche per qualche settimana.

6.    Infezione della ferita

7.    Eccessivo sanguinamento

8.    Difficoltà o fastidio durante la masticazione

E' dovuta ai rapporti della parotide con l’articolazione temporo-mandibolare e con la conseguente reazione flogistica post-operatoria.



CHIRURGIA DELLA TIROIDE

 

La tiroide è un organo endocrino (cioè produce sostanze, gli ormoni tiroidei, che vengono immessi direttamente nel sangue) posto anteriormente nel collo al di sopra della trachea.

E' costituita da 2 porzioni laterali (dette lobi) unite tra loro da un ponte (detto istmo).

In stretto rapporto con essa vi sono le paratiroidi, piccole ghiandole delle dimensioni di una lenticchia, anch'esse endocrine, generalmente in numero di quattro ma che possono variare da 1-2 fino a oltre 10.

Tra tiroide e trachea è posto il nervo laringeo inferiore (o nervo ricorrente) che fornisce l'innervazione motoria ai muscoli della laringe.

Tra tiroide e laringe è invece posto il nervo laringeo superiore che fornisce l'innervazione sensitiva e solo in minima parte motoria.
Scopo di ogni intervento chirurgico sulla ghiandola tiroide è quello di asportare la parte malata conservando le ghiandole paratiroidi ed i nervi laringei.

L'intervento inizia con un'incisione a circa 2 dita al di sopra del giugulo e con l'allestimento del lembo cutaneo. Dopo avere divaricato i muscoli si individua la tiroide.

Si procede allo scollamento della ghiandola dalle zone circostanti legando i vasi arteriosi e quelli venosi.

A seconda dell'intervento programmato si procederà all'asportazione di un solo lobo (lobectomia tiroidea o emitiroidectomia), generalmente associata anche alla rimozione dell'istmo o all'asportazione dell'intera tiroide (tiroidectomia totale). Nei casi di carcinomi vi è la necessità di asportare il tessuto adiposo posto attorno al nervo ricorrente in quanto possono esservi localizzate alcune ghiandole linfatiche sede di metastasi (svuotamento ricorrenziale).

L'intervento si conclude con il controllo del sanguinamento, l'applicazione di drenaggi in aspirazione e la sutura dei muscoli e della cute.

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Oggigiorno gli interventi di tiroidectomia sono ben codificati e il rischio di complicanze è molto ridotto rispetto al passato. Esse sono comunque possibili e possono essere suddivise in emorragiche, endocrine e neurologiche.

Per la presenza di tessuto cicatriziale che ostacola l’identificazione delle strutture anatomiche, il rischio di complicanze aumenta in caso di reinterventi. L’exeresi di un intero lobo tiroideo permette quindi di rimuovere la zona malata evitando di dover ritornare sulla regione per l’asportazione di eventuali residui.

 

  • COMPLICANZE EMORRAGICHE

Le emorragie possono essere immediate o tardive. Quelle immediate avvengono durante l'intervento stesso (e sono generalmente legate a lesione accidentale di un vaso arterioso o venoso) o entro poche ore dalla fine dell'intervento stesso (e sono di solito dovute alla non perfetta tenuta di un nodo o di una causticazione). In quest'ultimo caso vi può essere la necessità di un intervento urgente di revisione per provvedere alla ricerca del vaso sanguinante ed alla emostasi.

Le emorragie tardive compaiono a distanza di qualche giorno e generalmente non richiedono interventi di revisione essendo sufficiente applicare un bendaggio compressivo o eseguire delle aspirazioni di drenaggio della raccolta siero-ematica.

 

  • COMPLICANZE ENDOCRINE

La perdita della funzione tiroidea o la sua diminuzione non possono essere considerate una complicazione in quanto legata proprio alla riduzione o all'asportazione totale del tessuto tiroideo.

Si parla invece di complicanza quando alterazione riguarda le ghiandole paratiroidi e l'ormone da esse prodotto: il paratormone. Questo controlla il metabolismo del calcio aumentando la quantità in circolo nel sangue (calcemia). Una sua ridotta increzione (ipoparatiroidismo) determina una riduzione della calcemia che si manifesta con la comparsa di formicolii e crampi a carico degli arti e delle labbra prima e di tutto il corpo poi.

Nella maggior parte dei casi si tratta di un problema temporaneo legato alla momentanea perdita di funzione per le manovre di distacco delle paratiroidi dalla tiroide. In una quota pari circa al 3-6% a seconda delle varie statistiche l'ipoparatiroidismo è definitivo e ciò rende necessaria l'assunzione per tutta la vita di una terapia a base di calcio.

I rischi maggiori si corrono in caso di istologia maligna, di reintervento o di svuotamento ricorrenziale (cioè asportazione del tessuto adiposo e dei linfonodi in esso contenuti posto lungo il decorso del nervo ricorrente).

Qualora ci si accorga di avere rimosso una paratiroide o se non si è sicuri che tale ghiandola riceva un adeguato apporto di sangue si può procedere al suo reimpianto in un muscolo (generalmente le sternocleidomastoideo o il deltoide).

 

  • COMPLICANZE NEUROLOGICHE

Il nervo laringeo superiore di solito non viene visualizzato durante l'intervento. Visti gli stretti e non costanti rapporti che contrae con le arterie e le vene del polo superiore, per evitare di danneggiarlo è necessario procedere ad una attenta legatura dei vasi in vicinanza dell'apice del lobo tiroideo.

Un suo deficit comporta l'impossibilità di ottenere una perfetta messa in tensione delle corde vocali e quindi si potranno avere dei problemi nella emissione dei suoni più acuti.

Il nervo laringeo inferiore è quello funzionalmente più importante poiché è il vero nervo motore della laringe.

La ricerca del nervo per poterne seguire il decorso e quindi avere una maggiore certezza di salvaguardarlo è oggigiorno un momento fondamentale della chirurgia tiroidea. Mentre infatti in passato si riteneva che questo procedimento chirurgico fosse dannoso, l'esperienza clinica ha dimostrato il contrari, che cioè la frequenza di danni del nervo ricorrente è nettamente superiore qualora non si proceda alla ricerca del nervo.

Il rischio di paralisi definitiva è molto raro mentre quello per paralisi temporanea è di circa 2-3%. Questo significa che la paralisi è un evento raro e che comunque nella maggior parte dei casi si risolve, spontaneamente o con l'aiuto di una terapia farmacologica, entro un periodo variabile da pochi giorni ad alcuni mesi.

PFAPA (FEBBRE PERIODICA con FARINGITE AFTOSA e ADENOPATIE CERVICALI)

 

  • Che cosa è la sindrome PFAPA

 

La sindrome PFAPA (Periodic Fever, Aphtas, Pharyngitis and cervical Adenopathies) è una delle cause di febbre periodica in età pediatrica. Non è conosciuta l'origine eziopatogenetica di questo quadro clinico. L'ipotesi più avvalorata è che la PFAPA rappresenti un disturbo minore dei meccanismi di controllo dell'infiammazione che si rende evidente, forse anche in relazione alla relativa ipertrofia del tessuto linfatico, solo nei primi anni di vita. E' stato ipotizzato che gli episodi febbrili possano dipendere, almeno in un sottogruppo di pazienti, dalla riattivazione di una infezione virale latente da adenovirus. Una caratteristica della PFAFA è che le manifestazioni cliniche si ripresentano costanti nel tempo e con una peridocità abbastanza regolare (in questo senso è assimilabile ad altre sindromi periodiche come l'emicrania, il vomito ciclico o i dolori agli arti del bambino più grandicello). I genitori del bambino non hanno difficoltà nel distinguere l'attacco di PFAPA dall'episodio febbrile di diversa origine e spesso, similmente a quanto accade in altre sindromi periodiche, sanno riconoscere i sintomi premonitori che anticipano l'episodio febbrile.

 

  • Riconoscere il quadro tipico

 

La malattia si presenta in genere prima dei cinque anni e si caratterizza per una febbre elevata a insorgenza improvvisa che dura 3-6 giorni e tende a ricorrere con regolare periodicità (ogni 3- 8 settimane, tipicamente 1 mese) con periodi intercritici di completo benessere. La febbre, spesso ben sopportata, è elevata (>38°C) e si accompagna a stomatite aftosa (le afte sono di piccole dimensioni e generalmente localizzata alla gengiva labiale), linfoadenopatia laterocervicale ed arrossamento del faringe e delle tonsille. Il tutto in assenza di segni di infezione respiratoria. Non tutti i bambini manifestano una forma di PFAPA "completa", con febbre, afte, faringite e linfoadenopatia: a parte la febbre, sempre presente, la linfoadenomegalia cervicale è il sintomo che viene riferito più frequentemente (88%), seguito dalla faringite (72%) e dalla stomatite afosa (70%). I linfonodi cervicali raramente superano i 5 cm di diametro e di solito non vi è interessamento linfonodale in altri distretti corporei. Tipicamente c'è una faringite di modica entità e non essudativa, di solito associata a tonsillite. Al di fuori degli episodi febbrili il bambino è del tutto asintomatico.
   Secondo alcuni esperti bisogna dare importanza al quadro sintomatologico (febbre ricorrente >38°C, tonsillite e\o stomatite afosa e\o adenopatia laterocervicale) in un bambino di età inferiore ai 5 anni, in buono stato di salute nei periodi intercritici e con assenza di un interessamento dell'albero respiratorio. A queste caratteristiche potrebbe essere aggiunta anche la brillante e rapida (3-6 ore) risposta della febbre ad una unica dose di corticosteroidi (1 mg/Kg di metilprednisone) anche se questa non sempre si mantiene nei giorni successivi. Dal punto di vista laboratoristico si evidenzia solamente un rialzo degli indici di flogosi durante l'episodio febbrile che prontamente si negativizzano nei periodi intercritici. All'emocromo si rileva una leucocitosi più o meno marcata con un livello normale di emoglobina ed un'elevazione moderata della VES e della PCR.

 

  • Quando avviare lo studio di altre febbri

 

Nei casi tipici non è utile fare altri esami, se non una valutazione di screening sierologico per iper IgD (di semplice esecuzione anche se non in grado di identificare la totalità dei casi di sindrome da Iper IgD) prima di programmare un eventuale intervento di tonsillectomia. Viceversa, dato che altre febbri ricorrenti possono presentare nei primi anni una sintomatologia in parte sovrapponibile alla PFAPA, sarà indicato compiere ulteriori accertamenti quando, oltre ai sintomi tipici, siano presenti altri sintomi e segni ed in particolare:
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Neutropenia ciclica: da sospettare in caso di episodi infettivi come foruncolosi, ascessi, gengiviti e polmoniti durante uno o più episodi. La diagnosi viene posta ripetendo la conta dei leucociti 2-3 volte a settimana per 6 settimane, periodo durante il quale il bambino deve avere un episodio febbrile se una conta dei neutrofili assoluti è <500 e si ha poi un valore normale nel controllo successivo, in assenza di trattamento terapeutico. Questo sospetto sarà molto più improbabile se la conta dei neutrofili in febbre è molto elevata dato che nella neutropenia ciclica non si raggiungono mai valori molto elevati;
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Sindrome da iper-IgD: da sospettare in caso di una importante sintomatologia addominale (dolore, diarrea, vomito), di linfoadenite generalizzata (spesso anche a carico dei linfonodi mesenterici), di artralgie e di rash cutaneo e indica l'esecuzione dell'analisi genetica del gene MVK.

           > Una sindrome da iper-IgD dovrebbe essere presa in considerazione anche nei casi di PFAPA                             con esordio molto precoce, nei primi sei mesi di vita;
            > La mancata risposta alla tonsillectomia è un'indicazione al sospetto di
sindrome da iper-IgD,                                  anche in assenza di incremento di questa classe di anticorpi;
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Febbre mediterranea familiare: da sospettare in caso di sierosite e/o la non risposta al trattamento steroideo in soggetti di origine mediterranea, deve far porre il sospetto di.

 

  • Terapia

 

- Gli antibiotici non hanno alcun ruolo nel trattamento della PFAPA e devono essere utilizzati solo in presenza di una obiettività che suggerisca una infezione batterica.

- I FANS hanno un limitato ruolo sintomatico (una apprezzabile risposta viene riferita nella maggior parte dei casi all'ibuprofene, mentre l'aspirina risulta per lo più inefficace).

- I corticosteroidi sono efficaci nella grande maggioranza dei casi, con il vantaggio di ottenere già a bassi dosaggi (1 mg/kg die di metiprednisone o steroide equivalente per 1-2 giornate) una risposta non solo sulla febbre ma anche sul benessere globale e sull'appetito del bambino. A questi dosaggi gli effetti collaterali metabolici dei corticosteroidi sono trascurabili, ma in alcuni bambini si osserva un aumento della irritabilità. I cortisonici però tendono a ridurre gli intervalli tra gli episodi. Data la natura del tutto benigna della PFAPA, l'utilizzo di qualsiasi terapia va però valutato attentamente bilanciando caso per caso i costi e i benefici.

- La tonsillectomia si può proporre nei pazienti in cui gli episodi si protraggono nel tempo con difficile gestione familiare e con compromissione della qualità di vita, anche se, data l'assenza di studi randomizzati controllati, il Piano Nazionale delle Linee Guida del Ministero della Salute non riconosce per ora questa indicazione (nell’esperienza di alcuni autori è risultata efficace circa nell'80).

 

  • Conclusioni


- La diagnosi è una diagnosi di esperienza e di probabilità che può raramente essere messa in discussione  nel tempo;
- La prognosi è buona (non ci saranno conseguenze sulla crescita e la malattia non rappresenta l'inizio di     una malattia infiammatoria cronica);
- Le difese immunitarie contro i comuni patogeni sono adeguate (non siamo di fronte ad una  immunodeficienza);
- La malattia non è contagiosa;
- Il trattamento è sintomatico e non curativo e va fatta una analisi semplice del rapporto tra costi e benefici  delle terapie.

Se soffrite di rinite o poliposi, contattate il dott. Magnani per una consulenza
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